raffaele solaini
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Vorrei che con un gesto quasi dispotico il prossimo segretario del Partito Democratico vietasse ai suoi portavoce, parlamentari e comunicatori a qualsiasi titolo di parlare di sondaggi. Che lo dicesse chiaro e forte e che si astenesse lui per primo anche dal vantare i risultati elettorali, boicottando poi le trasmissioni nelle quali le rilevazioni demoscopiche occupano troppo spazio. Non me ne voglia il professor Mannheimer, ma non ci dovrebbe essere più spazio per lui nello spettacolo della politica. Fra Porta a Porta e l’Infedele di Gad Lerner, scelgo l’Infedele: due tribune che si fronteggiano e nessuna platea. Una scelta sicuramente difficile, ma strategica, perché cambiare la scena, il format, significa ridistribuire i ruoli, modificare la sostanza dei rapporti politici.

L’avvento del berlusconismo è stato caratterizzato da un uso spregiudicato dei sondaggi, spia rivelatrice della deriva populista che ha condotto all’antipolitica dei giorni d’oggi. Il fatto è che l’uso politico dei sondaggi mostra ben poco rispetto dell’opinione pubblica, non solo perché i loro risultati vengono alle volte strumentalmente deformati a vantaggio di chi li cita, ma soprattutto perché trasformano un interlocutore, la cittadinanza, in un argomento. Costituiscono un modo ipocrita per nascondere le proprie parole dietro a quelle della “gente”, di fatto muta, accreditandole dell’autorevolezza riconosciuta al comune sentire. Cinematograficamente parlando, i sondaggi sono una presa in soggettiva: un modo di fare entrare lo spettatore nel film, lasciandogli però vedere e dire solo quello che il protagonista vede e dice.

Abolire i sondaggi dal lessico politico non significa quindi solo liberarsi di un argomento tanto povero quanto inelegante, ma, soprattutto, distinguere il momento della partecipazione da quello della rappresentanza politica, che è anche rappresentazione simbolica della cittadinanza. Evitare, cioè, che la partecipazione venga ridotta a una citazione, a una messa in scena nella quale il cortese pubblico trova un ruolo tanto gratificante quanto inconsistente. Il successo delle primarie che incoronarono Prodi non dipese solo dal desiderio montante di cacciare Berlusconi, ma anche dall’esigenza largamente diffusa fra l’elettorato di centrosinistra di riappropriarsi di un ruolo non virtuale, di farsi autore di un progetto personalmente firmato, piuttosto che aderire a un contratto sottoscritto da altri.

Favorendo una partecipazione reale e autonoma, anche la classe politica guadagnerebbe un altrettanto libero spazio di manovra e di decisione. Rompendo così il patto nefasto per il quale alla gente non si può mai dare torto, per non negare il risarcimento dovuto a seguito dell’esautorazione di un ruolo attivo. Piuttosto che fingersi tramite, umile portavoce, e nascondere la propria natura manipolatrice, la politica diventerebbe interprete di una società uscita allo scoperto, rifondando così le condizioni della rappresentanza e di un’interlocuzione autorevole. In fondo, la crisi attuale del mondo politico dipende da una mancanza di credibilità, persa e mai ricostruita in un confronto vero, sempre surrogata da espedienti argomentativi, come, ad esempio, l’uso dei sondaggi. Con i sondaggi, lo si sa, non si governa, ma neanche si costruisce un consenso sulla base del quale poter poi governare. Fin da subito, occorre imparare a porsi di fronte alla società con piglio governativo, con capacità di ascoltare, ma anche di tradurre le sollecitazioni in una proposta politica coerente e libera.

BASTA SONDAGGI
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(Affaritaliani.it, 09-10-2007)